Nelle nostre scuole il digitale sembra essere ovunque e, allo stesso tempo, quasi assente. Una LIM, il registro elettronico aperto sul pc dell’insegnante, qualche ricerca veloce su internet, forse un’IA generativa usata di nascosto per preparare un compito o una lezione. E intanto, fuori da scuola, gli stessi studenti passano le giornate dentro ecosistemi algoritmici complessi, tra social, piattaforme video, chatbot e sistemi di raccomandazione che orientano gusti, relazioni e apprendimenti informali.
I risultati di TALIS 2024 (Teaching and Learning International Survey), mostrano che solo una minoranza di docenti italiani dichiara di usare l’intelligenza artificiale nel proprio lavoro e che, quando viene usata, serve più a semplificare compiti organizzativi e preparare lezioni che a diventare oggetto di esplorazione condivisa con la classe. Sono dati che raccontano una scuola in cui il digitale è presente soprattutto come strumento di servizio, mentre fatica a trasformarsi in spazio educativo in cui leggere criticamente media e algoritmi. Da qui le domande che guideranno l’articolo: quanto il digitale che usiamo a scuola assomiglia al digitale che abita le vite degli studenti e che cosa ci dicono in questo senso i numeri di TALIS 2024 sul modo in cui stiamo educando a questi ambienti?
In Italia, secondo TALIS 2024, il digitale è presente nelle scuole ma viene utilizzato poco e in modo selettivo rispetto alla media OCSE, che registra livelli più alti e più capillari di integrazione delle tecnologie, compresa l’IA, nelle pratiche didattiche quotidiane. Infatti, solo una piccola minoranza di docenti italiani riferisce di aver svolto una lezione online o ibrida nell’ultimo mese, con un dato nazionale che si assesta intorno al 5% rispetto a un 16% OCSE e solo il 25% dichiara di aver utilizzato strumenti di Intelligenza Artificiale nel proprio lavoro nell’ultimo anno, contro una media OCSE del 36%. È interessante notare che laddove l’IA viene effettivamente utilizzata, il suo impiego è concentrato soprattutto su funzioni di supporto al lavoro dell’insegnante: circa il 70% dei docenti che la usano la adopera per imparare meglio o riassumere argomenti, il 68% per preparare lezioni o attività, il 61% per supportare studenti con bisogni educativi speciali. Molto più rari sono gli utilizzi che coinvolgono direttamente gli studenti, ad esempio per generare contenuti insieme, per indagare criticamente sulle risposte delle macchine, per strutturare percorsi di valutazione formativa o feedback personalizzati. Dal lato di chi non la usa, il quadro è altrettanto significativo. Circa il 69% dei docenti che non utilizzano strumenti di IA dichiara di non sentirsi sufficientemente competente, e molti richiamano anche la mancanza di infrastrutture adeguate a scuola: connessioni instabili, dispositivi insufficienti o obsoleti, piattaforme non integrate.
Quando solo una minoranza di insegnanti usa l’IA a scuola, mentre quasi tutti gli studenti interagiscono quotidianamente si apre un divario silenzioso tra competenze informali e competenze guidate. Le ragazze e i ragazzi sviluppano “sul campo” strategie per convivere con questi sistemi, ma spesso senza parole, categorie e strumenti critici per capire davvero cosa accade dietro lo schermo. Il rischio è che l’IA resti un “fatto privato” degli studenti, governato quasi esclusivamente da logiche commerciali e da piattaforme che ottimizzano attenzione, dati e profili, senza spazi scolastici in cui interrogare poteri, regole e immaginari di questi sistemi intelligenti.
Le preoccupazioni di molti docenti, come plagio, dipendenza, perdita di autonomia e valutazioni “truccate”, possono diventare quindi un ottimo punto di partenza per aprire percorsi di educazione alla cittadinanza digitale, invece che motivo per tenere l’IA fuori dalla porta. Le linee guida nazionali del MIM sull’uso dell’IA a scuola possono essere richiamate come cornice di legittimazione, tuttavia ad esse è importante integrare la rilevanza di progettare percorsi intenzionali di alfabetizzazione critica all’IA, dove responsabilità, trasparenza e tutela dei dati diventino oggetti espliciti di discussione e di apprendimento. A questo punto possiamo dire che quel 25% di docenti che oggi sperimenta l’uso dell’IA non rappresenta un semplice dato statistico, ma un punto di partenza da cui può nascere una rete di confronto e crescita, capace di rendere l’IA non solo uno strumento, ma un’occasione per ripensare la Media Education nelle nostre classi.
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