Fonti: White Paper – Stanford University and Collaborating Organizations, “Designing Learning for the Edges”
Quando pensiamo a una classe, spesso immaginiamo quattro mura, banchi in fila e un insegnante davanti alla lavagna. Ma cosa succede ai margini di questo spazio?
I margini — reali o simbolici — sono i luoghi dove si trovano gli studenti meno visibili, quelli che il sistema educativo fatica a comprendere o a sostenere pienamente. Ed è proprio lì, ai margini, che possiamo imparare di più sull’inclusione.
Barbara Pape, del Learner Variability Project, ricorda che: "dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno non è un gesto speciale: è semplicemente apprendere. L’inclusione non è un “di più”, ma il cuore stesso della scuola.
Quando i bambini si sentono accolti, parte di una comunità, tutto cambia. Migliora il comportamento, cresce la curiosità, aumenta la voglia di rischiare e di imparare. L’appartenenza è la vera radice della motivazione.
Ma come possiamo costruire spazi dove tutti si sentano parte?
Alcuni educatori propongono variare le sfide educative, per mantenere alte le aspettative, creando le condizioni che permettano a tutti di raggiungere diversi obiettivi di apprendimento. Altri, invece, invitano a dare voce agli studenti, perché chi vive ai margini sa meglio di chiunque altro cosa serve per essere ascoltato e compreso.
L’inclusione non è solo questione di strategie didattiche. È anche un cambio di sguardo. Un bambino che evita il contatto visivo o che si agita in classe non è necessariamente disinteressato o “difficile”: spesso sta semplicemente cercando di autoregolarsi in un contesto che non lo capisce.
Quando fraintendiamo gli studenti, rischiamo di escluderli due volte: prima dall’apprendimento, poi dal senso di appartenenza.
Come ci ricorda la ricercatrice Diana Mercado-Garcia, la scuola è ancora troppo frammentata: insegnanti di sostegno e docenti curricolari lavorano spesso separati, senza il tempo o gli strumenti per condividere realmente una progettazione accessibili a tutti.
Molti insegnanti vogliono essere inclusivi, ma si trovano soli, sopraffatti da nuove iniziative e scarse risorse. Forse è tempo di fermarsi e tornare all’essenza: L’INCLUSIONE NON è UN PROGETTO, MA UN MODO DI PENSARE E ESSERE SCUOLA.
Creare una scuola per tutti significa progettare a partire dai MARGINI, non dal CENTRO. Perché quando i margini diventano parte del disegno, l’intera comunità cresce.