La responsabilità quotidiana dell’inclusione esce “alla lavagna”

articolo di: Valentina Tomirotti. Giornalista, Diversityteller, Content Creator
Fonte ricerca Erikson Issuu Reader

La responsabilità quotidiana dell’inclusione esce “alla lavagna”.

In Italia ci sono 325.000 studenti con disabilità iscritti nelle scuole.
Solo il 36% degli insegnanti di sostegno è di ruolo.
Solo il 41% delle scuole dispone di ausili tecnologici per favorire una reale partecipazione.

Eppure, il 27% dei docenti italiani oggi si dichiara favorevole al ritorno di classi e scuole speciali.
+10% rispetto al 2023.
Nel 2025.

:chart_decreasing: Questo non è solo un sondaggio di Erikson . È una radiografia culturale.
Significa che l’inclusione continua a essere percepita come “un problema da gestire” e non come un diritto da garantire.

Le relazioni tra colleghi, tra studenti, tra famiglie restano il cuore pulsante della scuola. Ma se la professionalità inclusiva non è considerata prioritaria, allora stiamo costruendo una scuola che accoglie “quando può”, non “perché deve”.

:woman_teacher: La scuola italiana non ha bisogno di muri nuovi, ma di competenze, formazione e coraggio.
Perché un’aula inclusiva non è un favore: è un laboratorio di cittadinanza. Cosa fare per invertire questo dramma?

Il dato più scioccante del report 2024 riguarda il crescente consenso verso modelli “separatisti”. L’indagine ha misurato il grado di accordo su tre affermazioni chiave:

  1. Il modello a tre vie: alla domanda se fosse opportuno differenziare i contesti scolastici in base alla gravità della disabilità (scuole speciali per casi gravi, classi speciali per casi medi, inclusione piena per casi lievi), il 27,1% degli insegnanti si è detto favorevole (“poco” o “completamente d’accordo”). Questo dato è allarmante non solo in sé, ma perché segna un aumento di 10,1 punti percentuali rispetto al 2023. Come nota il report, è un segnale che le difficoltà operative quotidiane stanno indebolendo i valori e “legittimando” l’idea di un ritorno a sistemi differenziati;
  2. L’inclusione non è (sempre) fattibile: qui si scende sul piano della pratica quotidiana. Quasi la metà del campione, il 43,5%, si è trovata d’accordo (“poco” o “completamente”) con l’affermazione: “Nel lavoro quotidiano […] mi è capitato spesso di pensare che una vera inclusione non fosse fattibile“. Un dato stabile rispetto all’anno precedente;
  3. L’inclusione non è (sempre) la scelta migliore: infine, il 29,4% dei docenti (un dato anch’esso stabile) concorda sul fatto che, di fronte a disabilità gravi, l’inclusione “non sia la scelta migliore“.
    Cosa funziona? Il fattore umano (e cosa manca)

L’indagine ha chiesto ai docenti cosa, nella loro esperienza, fa funzionare una buona inclusione. La risposta è netta: il successo è un fatto “umano” e relazionale. Il fattore più importante è l’ecosistema umano e relazionale: la collaborazione, la relazione positiva, la condivisione tra colleghi e il lavoro di squadra, esteso anche alla comunicazione con le famiglie. Simmetricamente, l’ostacolo principale è proprio la mancata collaborazione con colleghi e famiglie.

Il paradosso delle metodologie

Quando si chiede ai docenti cosa fa funzionare bene l’inclusione, la risposta è unanime: l’ecosistema umano e relazionale. La collaborazione, la relazione positiva, la condivisione tra colleghi e il lavoro di squadra sono visti come i fattori determinanti. Di contro, l’ostacolo principale è la mancata collaborazione. Il dato “preoccupante”, come lo definisce il report, è che le metodologie didattiche inclusive (come apprendimento cooperativo, peer tutoring, ecc.) non sono ritenute importanti per il successo dell’inclusione. Ancora più grave, l’assenza di queste competenze e il non saper applicare metodologie didattiche adeguate non viene percepito come un ostacolo. Sembra, conclude il report, che “l’inclusione sia un fatto essenzialmente ‘umano’ e relazionale e non anche una questione da affrontare con adeguate metodologie didattiche ed educative”. È proprio su questo scollamento – una fatica vissuta come relazionale, ma causata da una carenza di strumenti tecnici e didattici – che si gioca il futuro dell’inclusione.