Un recente studio rivela un risultato importante per chi lavora con bambini e adolescenti: molti di quelli identificati come “gifted” all’età di 7 anni non mantengono un quoziente intellettivo elevato nell’adolescenza.
I ricercatori hanno analizzato dati longitudinali su migliaia di bambini seguiti dalla prima infanzia fino ai 21 anni, confrontando i punteggi cognitivi a 4, 7, 12, 16 e 21 anni. Tra i bambini che avevano un punteggio “alto” a 7 anni, solo il 16% risultava ancora “alto” a 16 anni. Alcuni bambini con punteggi “nella media” a 7 anni, circa l’8%, sono poi saliti nella fascia alta a 16 anni. In altri termini, la maggior parte mostrava fluttuazioni, senza una stabilità garantita dall’infanzia all’adolescenza.
La stabilità del funzionamento cognitivo nel tempo risultava legata soprattutto a una combinazione di predisposizioni genetiche e condizioni socioeconomiche. In particolare, si osservava che l’influenza della genetica sulle abilità cognitive aumentava con l’età, mentre diminuiva quella dell’ambiente: un fenomeno noto agli esperti come “effetto Wilson”.
L’identificazione precoce, quindi, se non accompagnata da monitoraggi nel tempo, può dare una falsa certezza: alcuni bambini “sorprendenti” all’inizio potrebbero non mostrare lo stesso profilo negli anni, e viceversa. Molte classificazioni fatte troppo presto rischiano di essere imprecise o temporanee.
Il concetto stesso di “plusdotazione” è spesso inteso come un dono stabile, qualcosa su cui puntare sicuro. Ma questo studio ricorda che lo sviluppo cognitivo umano è dinamico e spesso imprevedibile. In un’ottica educativa, e in particolare nella didattica inclusiva e personalizzata, questo significa valorizzare ogni studente come un progetto aperto, non come un’etichetta definitiva.