Storia dell'arte, AI e intelligenza collettiva: dal botteghe rinascimentali fino alle piattaforme didattiche collaborative

Nel percorso proposto all’interno dello scenario didattico “Rappresentazione artistica, tecnologia ed intelligenza collettiva”, ideato insieme al collega esperto di Media Education @Luigi_Cirelli, emerge come l’arte sia sempre stata un veicolo di memoria condivisa, di processi e idee che si trasformano e cambiano oltre il singolo autore.
Le immagini non si limitano a essere prodotto di un individuo, ma trasmettono nel tempo motivi, gesti e nuove visioni: dalla cultura classica, al Rinascimento, fino all’epoca contemporanea questi elementi permangono e vengono “riattivati” in altri contesti storici (il concetto di partenza è stato il Nachleben, ovvero “Sopravvivenza”, coniato dallo storico dell’arte Aby Warburg).

Si tratta della stessa logica che ritroviamo nella bottega durante il Rinascimento: non solo il maestro realizza le parti principali dell’opera, ma è l’intero cantiere, con apprendisti e aiutanti, a rendere possibile la realizzazione delle opere complesse. Gli apprendisti imparano osservando, correggendo e annotando. Le pratiche, le “formule di pathos”, circolano, si evolvono e sopravvivono proprio perché sono patrimonio collettivo.

All’interno dello scenario, questo filo prosegue nel topos dell’autoritratto, che diventa ponte diretto con le pratiche contemporanee del selfie.
Nelle sue origini medievali, l’autoritratto è spesso una testimonianza autoriale discreta: l’artista si inserisce in scene sacre o narrative attraverso piccoli autoritrattti ambientati; non è il protagonista dell’immagine, ma lascia una sorta di firma comportamentale del proprio lavoro dentro una pratica collettiva (monastero, bottega).
Con il Rinascimento, l’autoritratto diventa opera autonoma: l’artista passa da semplice esecutore a intellettuale, e usare il proprio volto significa interrogare e costruire la propria identità. Attraverso una serie di autoritratti, gli artisti sperimentano ruoli, maschere, immagini di sé, attingendo a un repertorio condiviso di pose, sguardi e modelli visivi della comunità artistica. Il caso del Narciso di Caravaggio permette di riflettere sul tema della specularità: il giovane chinato sull’acqua vede solo il proprio riflesso, come in un autoritratto “per interposta persona”, mettendo in scena un’identità fragile, sospesa tra corpo reale e immagine.

Quando lo scenario si sposta sul selfie contemporaneo, questa tradizione non scompare, ma viene rilanciata dentro l’ecosistema digitale. Il selfie diventa una pratica quotidiana di autorappresentazione in cui le distinzioni tra autore e spettatore, produttore e pubblico, si fanno più fluide: le immagini vengono continuamente riutilizzate, ricontestualizzate, condivise. Gli schermi di smartphone e tablet si collocano nello spazio peripersonale del corpo, e toccando le immagini, ingrandendo, scorrendo, filtrando le modifichiamo ma, al tempo stesso, ne siamo “toccati”: lo schermo agisce come una membrana che amplifica la dimensione corporea e immersiva della visione. In questo senso, il selfie è una forma di autoritratto distribuito, che si alimenta di codici visivi condivisi e contribuisce a una memoria collettiva in continua trasformazione.

Pierre Lévy, nel suo libro “L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio” (1996), descrive esattamente questo meccanismo: “nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa” e la conoscenza che conta è quella che una comunità riesce ad attivare e combinare. Secondo Lévy, l’intelligenza collettiva è il fondamento per costruire nuove forme di apprendimento e risoluzione dei problemi proprio perché favorisce co-produzione, scambio e critica reciproca.

L’intelligenza artificiale, oggi, si inserisce in queste dinamiche come fattore di accelerazione e aumento in quanto:

  • permette di analizzare e mettere in relazione grandi quantità di immagini e dati.
  • suggerisce pattern e connessioni che difficilmente sarebbero individuabili dal singolo osservatore.
  • estende la memoria e la capacità di spiegazione del gruppo, facilitando l’inclusione di punti di vista e tracce d’interpretazione eterogenee.

Dal punto di vista didattico, questo scenario mette al centro la pratica della collaborazione e dell’annotazione condivisa: studenti e docenti possono osservare e discutere, ma possono anche lasciare traccia delle proprie ipotesi, correggere annotazioni, proporre letture alternative (esattamente come in una bottega). Si crea in questo modo una memoria dinamica, aumentata non solo numericamente ma qualitativamente, capace di conservare le domande e i percorsi esplorativi di tutta la comunità.
Questo scenario verrà inserito nel catalogo della piattaforma Pinxit Studio dove sarà possibile sperimentarne in modo concreto le potenzialità: la piattaforma diventa così uno spazio di intelligenza collettiva aumentata.
Ecco qualche immagine esemplificativa dello scenario:


1 Mi Piace