La coscienza – la nostra esperienza soggettiva del mondo – è uno dei misteri più affascinanti (e difficili) che la scienza sta cercando di comprendere. Decine di teorie cercano di spiegarla, ma testarle in modo rigoroso è una sfida enorme: spesso chi propone una teoria tende a cercare solo conferme, e mancano metodi condivisi per metterle realmente alla prova.
Proprio per affrontare questo problema, un gruppo internazionale di scienziati ha pubblicato su Nature uno studio innovativo. Invece di cercare “la risposta giusta”, hanno provato a costruire un esperimento giusto. Hanno cioè utilizzato una strategia chiamata collaborazione avversariale: i sostenitori di due teorie rivali della coscienza (la Global Neuronal Workspace Theory, GNWT, e la Integrated Information Theory, IIT) hanno lavorato insieme per definire previsioni concrete da testare. Poi, queste previsioni sono state verificate da team indipendenti e neutrali.
Le due teorie fanno ipotesi diverse su quali aree cerebrali siano coinvolte nella percezione cosciente. La IIT punta sulla corteccia posteriore (zone visive, parietali e temporali), mentre la GNWT mette l’accento sulla corteccia prefrontale e su processi di “accensione” neuronale all’inizio e alla fine dello stimolo.
Il risultato? I dati non hanno dato ragione né all’una né all’altra: alcune previsioni sono state confermate, altre no. In particolare, nessuna teoria ha ottenuto un vantaggio netto, e entrambe hanno dovuto confrontarsi con risultati che mettono in discussione alcune delle loro ipotesi centrali.
Un’occasione educativa per parlare di scienza (vera)
Anche se lo studio non ha risolto il mistero della coscienza, rappresenta una lezione preziosa sul metodo scientifico, che può essere utilissima anche in classe. Ecco alcuni spunti chiave da condividere con gli studenti:
- La scienza non è fatta di certezze assolute, ma di domande complesse.
- Le teorie possono coesistere, finché non ci sono dati abbastanza forti da sceglierne una.
- La metodologia conta più dei risultati. È il come si fa ricerca che permette di distinguere tra buone e cattive scienze.
- Il dialogo tra punti di vista opposti è essenziale. Questo studio è un esempio concreto di collaborazione tra “rivali” per cercare la verità, non per “vincere”.
- Accettare l’ambiguità è parte del pensiero scientifico. Non sempre i dati confermano una teoria in modo netto, ma ogni passo aiuta a capire meglio il problema.
Perché portare questo in classe?
Usare storie come questa può aiutare gli studenti a capire la scienza come processo, non come elenco di fatti. È anche un’ottima occasione per allenare il pensiero critico: si può discutere di bias, di metodo sperimentale, di interpretazione dei dati, e di come la collaborazione possa superare le convinzioni personali.